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Con l’avvento delle prime forme di tecnologia hanno cominciato a nascere i primi prodotti di intrattenimento.

I videogiochi fanno parte di questo genere e come è ovvio la loro evoluzione è andata quasi di pari passo con quella tecnologica.

I primi prodotti videoludici, ovviamente, erano soprattutto i cosiddetti “cabinati”, una sorta di “macchinette” che richiedevano l’utilizzo di monete per essere attivati e poter dare inizio ad una partita.

Con il passare del tempo iniziano ad affacciarsi le prime consolle domestiche, grazie a nomi più o meno noti come Atari e simili, tra i primi titoli di grande interesse vengono ricordati, ad esempio, giochi come Pac-Man e Donkey Kong, saltuariamente riproposti in varie forme ancora oggi.

Con l’arrivo dei primi PC questi videogiochi hanno conosciuto una “nuova vita” che continua tuttora, grazie anche ad emulatori come MAME.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad una grossa evoluzione del medium videoludico che ha portato anche una sempre maggiore complessità all’interno di mondi di gioco e una scrittura sempre più articolata.

All’inizio, infatti, ,la maggior parte dei videogiochi esistenti si basava solo ed esclusivamente su un “gameplay”, cioè un modo di giocare molto semplice ed intuitivo, oggi, invece, per certi versi, questo aspetto viene considerato marginalmente, soprattutto da alcune grandi produzioni, come The Walking Dead e i titoli TellTale, in cui la giocabilità è estremamente ridotta e viene data grandissima importanza alla storia.

Questo, secondo il mio punto di vista risponde all’esigenza sempre crescente dei videogiocatori di trovare storie profonde e personaggi in cui immedesimarsi o mondi in cui “perdersi” per poter “volare con la fantasia”, esplorando luoghi lontani, impossibili da raggiungere o perché inesistenti o per mille altri motivi.

I giochi moderni sono, in sostanza, quasi tutti narrativi e noi ci affidiamo a loro perché vogliamo sentire di fare parte di una storia che, in qualche misura, possiamo controllare.